Via Livorno, 27 – Municipio II
Installazione del 11 gennaio 2017

CLEMENTINA SACERDOTE
NATA 1862
ARRESTATA 16.10.1943
DEPORTATA
AUSCHWITZ
ASSASSINATA 23.10.1943

In ricordo di Clementina Sacerdote

Clementina Sacerdote, nei primi anni Settanta dell’Ottocento, giovanissima, sposò Salvatore De Benedetti , e lo seguì a Roma dove, fino alla deportazione, ha vissuto. Ha attraversato dolori – il più sofferto, la scomparsa prematura della più giovane delle tre figlie – ma ha incontrato anche affetti e gioia. Un legame profondo la univa al nipote Dionisio, nostro padre. Clementina Sacerdote fu deportata il 16 ottobre 1943, aveva compiuto da poco più di un mese 81anni.
Quel giorno, di prima mattina, le SS si sono presentate alla porta della sua abitazione, cercavano tre persone: Clementina Sacerdote, Giuseppina De Benedetti, sua figlia, e Dionisio Bedetti, suo nipote. Trovarono soltanto lei, convalescente da una polmonite superata faticosamente, in compagnia dell’infermiera che l’assisteva. Nell’appartamento accanto si trovava Massimo Aloisi, cognato di Dionisio Bedetti e partigiano comunista. Con coraggio si intromise: parlò con le SS, conosceva il tedesco, si qualificò come medico, era professore di Patologia generale presso l’Università La Sapienza di Roma, spiegò come le condizioni di salute di Clementina fossero gravi, li invitò quindi a lasciarla morire nella sua casa.
Fu inutile, la strapparono via per sempre. Il dolore dei familiari, scampati casualmente dalla deportazione, fu tale da non poter essere mai elaborato.
Una piccola lapide posta sulla tomba di famiglia scandisce: “ Lo strazio scolpisce la memoria della dolce Clementina Sacerdote deportata il 16 ottobre 1943”.
Lo strazio li ha portati a rifuggire dal parlarne e a credere, senza cercare conferme, che Clementina fosse morta all’inizio del terribile viaggio. Nessuna sofferenza, invece, le è stata risparmiata, è sopravvissuta al viaggio ed è stata assassinata a Birkenau il giorno dell’arrivo: il 23 ottobre 1943.

"Un inciampo virtuale" - di Galileo Violini

16 ottobre. Un altro anniversario di un giorno tragico per la città dove sono nato.

Quel 16 ottobre del 1943 compivo quattordici mesi. Non sono ebreo. La mia famiglia non fu svegliata all’alba dalle SS nell’appartamento seminterrato di Via Livorno 25 dove vivevamo. Le SS andarono invece al palazzo accanto, al numero 27, e il racconto di ciò che successe fu una delle cronache familiari che mia sorella ed io ascoltammo spesso da nostra madre.
Un’amica di famiglia, la signora Bedetti, la vedevamo spesso nella nostra infanzia, una signora dai capelli bianchi, che ricordo soleva vestire un tailleur grigio chiaro. Credo fosse professoressa, ricordo che le eravamo affezionati ed era di famiglia.
Sua madre Clementina, quel 16 ottobre, era a casa, malata e anziana, ci raccontava mamma, e fu trasportata senza pietà al luogo di concentrazione degli ebrei romani. Fu una di quella quasi totalità che non tornò.
Mamma ci parlava di questa signora non in grado di camminare obbligata a questo ultimo tragico viaggio, ancor più penoso per le sue condizioni di salute. Mamma non ci diceva se l’avesse potuto vedere un’ultima volta attraverso le persiane socchiuse.
Non ricordo maggiori dettagli, l’aspetto delle persecuzioni razziali non erano parte principale dei racconti familiari relativi a quegli anni, anche se mamma spesso soleva parlarci del libro di Ludwig sulle interviste del 1932 a Mussolini, stigmatizzando quello che, forse ingenuamente, considerava inconcepibile tradimento di quanto Mussolini aveva affermato allora. Più tardi ci parlò anche della relazione tra suo padre e Giorgio Ascarelli che condusse alla fondazione del Napoli.
Non sapevamo altro della signora Clementina, se avesse speso delle parole, dato una carezza ai due bambini figli di un’amica di sua figlia. Non sappiamo nemmeno come la signora Bedetti sia scampata alla razzia, anche se ci sembrava di capire che fosse uscita – per andare dove? mamma, che forse lo sapeva, non ci diede dettagli – lasciando la madre a casa, convinta, o illudendosi, che, per le sue condizioni, non sarebbe stata toccata.
Cercai riscontro di questo racconto nel libro di Katz, senza trovare una persona i cui dati anagrafici coincidessero. Nel mio immaginario di bambino le attribuivo circa 90 anni e non ne conoscevo il nome di origine.
Alcuni giorni fa, posi in internet l’indirizzo di Via Livorno 27 e mi apparve una pietra d’ínciampo dedicata a Clementina Sacerdote, nome che poi ritrovai menzionato nel Libro della memoria, nata nel 1862, coniugata con Salvador De Benedetti, madre di Giuseppina.
Il mio scetticismo illuminista sul significato delle pietre d’ínciampo fu scosso. Avevo ritrovato la traccia lungamente cercata di una persona che mi aveva visto in carrozzina, che aveva fatto parte dei primi mesi della mia vita, in un rapporto probabilmente quasi familiare.
Trovai conferma che era convalescente di una polmonite e che un vicino medico, Massimo Aloisi, cercò invano di convincere le SS a recedere dal detenerla.
Non so se suoi familiari siano in vita. Mi pare ricordare che la signora Bedetti avesse una figlia.
Mi considero membro adottivo di quella famiglia e, potendolo finalmente fare, voglio ricordare la signora Clementina con l’affetto che, con un diverso destino, forse le avrei potuto manifestare, grato a Gunter Demnig per avermi permesso non tanto recuperare un ricordo dei miei primi giorni, quanto contribuire in minima parte a mantenere vivo il ricordo di una delle vittime di quella tragedia.

Galileo Violini

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