Viale della Piramide Cestia, 21 – Municipio I
Installazione del 14 gennaio 2014
GINO PACE
NATO 1885
ARRESTATO 16.10.1943
DEPORTATO
AUSCHWITZ
ASSASSINATO 23.10.1943
SERGIO PACE
NATO 1926
ARRESTATO 16.10.1943
DEPORTATO AUSCHWITZ
MORTO IN LUOGO IGNOTO
IN DATA IGNOTA
FERNANDA PIAZZA
NATA 1888
ARRESTATA 16.10.1943
DEPORTATA AUSCHWITZ
ASSASSINATA 23.10.1943
EMMA MAZALTOV SEPPILLI
NATA 1857
ARRESTATA 16.10.1943
DEPORTATA AUSCHWITZ
ASSASSINATA 23.10.1943
GISELLA GREGO
NATA 1875
ARRESTATA 16.10.1943
DEPORTATA AUSCHWITZ
ASSASSINATA 23.10.1943
Un ricordo della famiglia Pace
Gino e Fernanda Pace si erano sposati, trentenni, appena finita la Grande Guerra e avevano avuto subito avuto due figli, Mario e Sergio.
Una famiglia della media borghesia e una vita tranquilla, circondata dall’affetto di numerosi zii e cugini con cui condividevano le feste e le tradizioni ebraiche.
Da via Calabria, dove abitavano, presto si trasferirono in Viale della Piramide Cestia, in un quartiere nuovo dove erano stati appena costruiti moderni condomini e dove già abitava uno zio materno. Intanto, con le leggi razziali, i due ragazzi frequentavano, come tutti gli altri, le scuole ebraiche mentre gli eventi precipitavano verso la guerra.
Non c’è niente che può descrivere meglio lo stato d’animo di allora se non le parole del diario che Mario scrisse alcuni anni dopo: “La massa degli ebrei era formata da piccoli commercianti, impiegati, professionisti. … Quelli più ricchi o più arditi, se ne andarono… quelli che soffrirono di più furono quelli di mezzo, che non avevano beni di fortuna che permettessero loro di sopravvivere senza lavorare ed erano incapaci di muoversi in modo illegale. Qualcuno riuscì a sopravvivere, nei cinque anni che durò la tempesta, qualcuno, come i miei, arrivò alla stretta finale esausto, e non ci riuscì”.
Allo scoppiare della guerra, intanto, era venuta ad abitare con loro la nonna materna, Emma Seppilli, molto anziana, che ormai non poteva più vivere da sola.
Le notizie che arrivavano sulle persecuzioni negli altri paesi erano minime e soprattutto incredibili: la confusione regnava. Nel luglio gli eventi precipitarono: i primi bombardamenti della città, il 25 luglio e l’arresto di Mussolini, il proclama di Badoglio, l’ oscuramento, colpi di fucile per le strade e l’8 settembre, l’armistizio.
Chi poteva era fuggito, ma la famiglia Pace non aveva soldi, la nonna non si poteva abbandonare e Sergio appena adolescente era troppo giovane per vivere senza i genitori. Si pensò di allontanare almeno Mario, che aveva quasi 20 anni e che poteva essere preso dai tedeschi per il lavoro coatto.
Così, pochi giorni prima del 16 ottobre, Mario fuggì a Firenze insieme a Brunello Sadun, dove l’amico aveva dei parenti. Qui riuscirono ad avere dei documenti falsi e con i nomi di Mario Noschese e Bruno Sadini si arruolarono come ausiliari della Polizia dell’Africa Italiana per passare inosservati.
“Poi anche a Firenze ci fu la retata degli ebrei. Io avevo ricevuto una lettera di mia madre che mi aveva scritto il 13 ottobre, per la mia festa dei vent’anni. Mi faceva gli auguri e mi diceva di stare tranquillo. Ma a Roma c’era già stata la questione dell’oro del riscatto e io non lo sapevo. Mia madre scriveva solo quello che poteva per rassicurarmi”.
Dopo una ventina di giorni arrivarono le prime notizie e Mario decise di tornare a Roma.
I vicini raccontarono che i tedeschi erano arrivati alle sei di mattina e il portiere si era affrettato ad accompagnarli all’appartamento. Dalle persiane socchiuse, avevano visto portare via i genitori, il fratello e la nonna con la sua sedia e ancora la cuffietta bianca da notte. “I vicini del piano di sotto avevano steso dei materassi sulla terrazza e cercarono di convincere Sergio a buttarsi di sotto, ma lui non volle farlo”.
Mario dormì quella notte nel letto dei suoi genitori. “Era ancora disfatto, così come era stato lasciato la mattina del 16 ottobre. Riconobbi l’odore della trapunta blu e rossa , e fu l’ultima volta, in vita mia, che annusai, se così si può dire, il calore della famiglia”.
I vicini, dopo la cattura, erano entrati in casa e avevano portato via tutti gli oggetti di valore che poi furono restituiti: la solidarietà fu straordinaria.
Mario però doveva fuggire, l’appartamento era già stato segnalato al “commissariato degli alloggi”, sarebbe stato requisito ed era troppo pericoloso farsi vedere. La caccia agli ebrei era solo all’inizio.
Riuscì fortunosamente ad essere accolto nel convento della Montagnola, dove vestito da prete poté rimanere nascosto insieme ad altri rifugiati.
All’arrivo degli americani, nel giugno 1944, si arruolò nel primo gruppo di militari che incontrò, le “salmerie da combattimento” .
Al ritorno dalla guerra, nel 1945, Mario ebbe le prime conferme che tutta la sua famiglia non sarebbe tornata! Qualcuno aveva raccontato che Sergio, selezionato per il lavoro, era fuggito dalla fila ed era tornato in quella dei genitori, per condividerne il destino. Una pietosa bugia. Sergio, che aveva appena 17 anni, fu immatricolato con il n°158601 e inviato a sgomberare le rovine del ghetto di Varsavia con una ventina di altri giovani italiani. Tre mesi dopo non era più in vita, ma questo si seppe solo molti anni dopo, nel 1991, alla pubblicazione di una ricerca storica.
Nessuno invece si ricordava di Gisella Grego, triestina, deportata insieme alla famiglia Pace, della quale nessuno mai aveva parlato. Ne avemmo notizia solo un paio di anni fa, da una lettera indirizzata al “commissariato degli alloggi”, scritta da un parente alla fine della guerra, per recuperare alcuni beni rimasti in casa. Nessuno sa da quanto tempo Gisella vivesse con loro, né se avesse dei parenti. Probabilmente, scampata alla retata degli ebrei triestini, era venuta a Roma e si prendeva cura della nonna Emma Seppilli, sua concittadina e vecchia amica.
(Ghila Pace)
Fernanda Piazza in Pace con il figlio Mario
Emma e Ida Seppilli
La famiglia Pace: Gino, Fernanda, Mario e Sergio
Sergio e Mario Pace