Installazione del 15 gennaio 2013

GIOACCHINO GESMUNDO
NATO 1908
ARRESTATO COME POLITICO 29.1.1944
ASSASSINATO 24.3.1944
FOSSE ARDEATINE

Gioacchino Gesmundo

Gioacchino Gesmundo nasce a Terlizzi (Ba) il 20 Novembre 1908, ultimo di 6 figli.
La sua vita fin dall’infanzia è aspra, una vita difficile e grigia. Perde a 2 anni la madre e a 6 anni il padre. Sono i fratelli maggiori e le due sorelle Isabella e Maria che si prendono cura di lui. Frequenta la Scuola Elementare e la Scuola Tecnica a Terlizzi e successivamente il Regio Magistrale “Bianchi Dittula” di Bari. Qui incontra il filosofo Giovanni Modugno suo professore e suo principale formatore spirituale. Così lo ricorda una sua condiscepola Stasi-Grassi in una sua lettera inviataci alcuni anni fa. “Gioacchino era uno studente bravo, uno dei migliori della classe, invidiato da tutti per la sua intelligenza, per la preparazione, sempre pronto a rispondere a tutti i quesiti in filosofia, per l’affetto che il Prof. di filosofia Modugno dimostrava verso l’allievo più bravo della classe”. Si diploma nella sessione estiva del 1928 e si trasferisce a Roma per l’insegnamento. E’ maestro dal 1928 al 1932 presso la Scuola Elementare di Sette Camini e Tor Sapienza. Il suo rapporto con gli alunni è molto cordiale, buono e tollerante.
Ecco un sonetto in romanesco trascritto e donatogli da Guido Tommasi; manifesta la benevolenza, il rispetto e la considerazione che si deve avere per il proprio maestro.

A chi se vo’ più bene  
(Parla la mamma)
-Lore’ vie’ a “cavallucci’ “:
e fa’ attenzione a la domanda che te faccio io:
Quale so’ su’ sto monno le perzone che vòi più bene,
doppo der gran Dio?
E Renzo senza facce rifressione:
A mamma bella, insieme a papà mio,
a nonna che cammina cor bastone e poi abbasta…….. Aspetta:pure a zio! -E non c’è più gnisuno, dimme un po’ annamo,
su ripenzece un pochetto…….  
-A ma’ nun m’aricordo, nu lo so’!
-Ah, nu’ lo sai? Te lo dirà tu’ madre ce sta er Maestro,
e porteje rispetto uguale, come fusse n’atro padre!                  

Nello stesso anno 1928 si iscrive all’Istituto Superiore di Magistero in Roma e per le sue spiccate qualità intellettive si fa apprezzare dal Professore Guido De Ruggiero e dal Professore Giuseppe-Lombardo-Radice. Consegue la Laurea il 1932 discutendo la tesi “Mito e Realtà con il Prof. De Ruggiero. Insegna “Storia e Filosofia” presso il Liceo Classico Vitruvio Pollione di Formia nel 1932.
Così l’Onorevole Pietro Ingrao suo studente:
Conobbi Gioacchino Gesmundo a Formia nel Liceo di cui ero allievo. Egli vi era giunto da Roma per insegnare Storia e Filosofia.
Cogliemmo fin dalle prime lezioni, in quel giovane professore, una singolare volontà e capacità di comunicazione. Ma la cosa che gradualmente doveva colpirci in una maniera impressionante più di tutte le altre era questa; egli era lì non per un atto di “routine” o per una formalità burocratica, ma per insegnarci quello che era indispensabile fare per costruire un domani diverso per noi stessi e per gli altri.
Gesmundo era un Professore molto aperto al rapporto con gli allievi, generoso nella comprensione, dava molto spazio alla confidenza, cercava con generosità il rapporto diretto con gli alunni.
Non usava in alcun modo il titolo gerarchico. Non ricordo mai che abbia avuto bisogno di alzare la voce o abbia fatto ricorso a richiami disciplinari.
Non si metteva in alto, ma a fianco dell’allievo .

Successivamente viene nominato docente presso il Liceo Terenzio Marrone di Rieti e dal 1934, fino al 1944, anno in cui fu trucidato alle Fosse Ardeatine, presso il Liceo Classico Scientifico ” C. Cavour ” di Roma. All’ingresso dell’Istituto si trova questa lapide:
In questo Liceo
Additò ai diletti discepoli
l’Amore alla Libertà
l’Odio alla
Gioacchino Gesmundo
Caduto alle Fosse Ardeatine
vittima della barbarie nazista

24 Marzo 1947

Su una parete una lastra in bronzo con inciso un suo pensiero:
Io sono un apostolo della Libertà,
la mia esistenza è votata al suo servizio;
sono impegnato a tutto fare,
tutto osare tutto soffrire per essa.
Fossi io perseguitato e odiato per causa sua,
dovessi pur morire per essa, che farei di straordinario?
Non altro che il mio dovere assoluto

Nel 1943 aderisce al P.C. (clandestino) dopo un autonomo percorso ideologico di rifiuto al fascismo, crea nella sua casa una base clandestina che per un certo tempo è anche la redazione de ” l’UNITA’ ” deposito di giornali per lo smistamento della stampa antifascista nella zona e centro di riferimento per ricercati che avevano bisogno di aiuto, era anche il ritrovo di tutti i suoi allievi bisognosi di consigli e di affetto.
Era aperta a tutti e si sentiva felice quando si poteva intrattenere con loro, sapere cosa facessero, dare consigli e parole di conforto e di speranza. Sentiva che il suo compito non si esauriva fuori le pareti dell’aula, continuava le sue preziose lezioni a casa, vero tempio di fede e di studio”. (A. Marchini)
E’ esponente di spicco della Resistenza Romana e collabora attivamente con M. Fiorentini nella lotta partigiana con diverse azioni di disturbo e di attentati agli automezzi nazifascisti in transito per alcune vie di Roma. E’ arrestato il 29/01/1944 dai militari della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) e condotto in Via Tasso, dove subisce le torture più crudeli e sevizie per oltre 40 giorni fino al 22/03/1944 giorno del suo processo in cui è condannato a morte e viene trucidato alle Fosse Ardeatine il 24/03/1944.
Così il Dottor Patara e alcuni suoi ex allievi lo ricordano nel video realizzato dagli studenti del Liceo Scientifico “Cavour” di Roma nel 1990.

“Noi studenti abbiamo avuto come professore Gesmundo per 3 o 4 anni, a secondo dei casi.
Manteniamo nel nostro cuore un ricordo splendido; di un uomo innanzitutto e di un bravo maestro.
Noi non avevamo un professore severo, ma un amico, un fratello più grande, non un padre; sì, proprio un fratello più grande.
Spiegandoci la Filosofia Lui ci faceva capire cos’era innanzitutto la Libertà, ma lo faceva come può fare un filosofo, come lo può fare chi è veramente convinto delle proprie idee, perciò non c’era propaganda. Nel mondo era un asceta.
Era un poeta. Era più che un filosofo.
Era una persona che vedeva nei ragazzi uno strumento per far capire quale fosse veramente la libertà per tutti.
Nel Museo Storico della Liberazione in Via Tasso, che fu il carcere, la sede di torture e di sofferenza per tanti antifascisti è custodita la sua camicia insanguinata.
Il 24/04/1948 gli viene conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il 14/11/1960 gli viene intitolata a Roma in Piazza Cesare De Cupis, 20 (Tor Sapienza) la Scuola Elementare dove ha insegnato al suo arrivo.
Il 30/09/1965 gli viene intitolata a Terlizzi in Via Salamone la Scuola Media di Secondo Grado.
Ecco la lapide all’ingresso della Scuola.  

“A GIOACCHINO GESMUNDO
nobile figura di pensatore
di educatore e di martire
che alle Fosse Ardeatine
consacrava all’eternità
i sacri ideali di libertà
di dignità umana e di Patria
col sacrificio supremo
memore la nuova generazione dedicò”.
30 Settembre 1965

(Gioacchino Gesmundo)

Era un bravo comunista, un grande professore

Era un bravo comunista, un grande professore
All’Alberone si vive di poca retorica, non abbiamo centri sociali, non c’è un’identità forte come in altri quartieri di Roma. La storia se la vuoi, te la devi un po’ cercare, perché le targhe alla fine sono sempre coperte da enormi corone di alloro, che non   permettono bene di vedere quel che c’è sotto, quello che c’è scritto, nomi, frasi e storie rimangono nascoste dalla retorica istituzionale. In realtà il mio quartiere ha pagato un prezzo altissimo di vite umane e di intelligenze, descritto in maniera magistrale dal volume “Memorie di quartiere” a cura di Antonio Parisella e Giuseppe Mogavero (Edilazio), la lotta al nazifascismo. Non solo i morti delle Fosse Ardeatine, ma anche i tanti partigiani uccisi in conflitti a fuoco od azioni, sono lì a ricordarci quanto vale la libertà.
Una storia ha attraversato in maniera netta la mia vita e le mie lotte, quella del professor Gioacchino Gesmundo, è una storia d’amore, amore per la libertà, per le scelte sempre nette, sempre dalla parte giusta quella degli ultimi, degli operai, dei proletari, perché in quel tempo esistevano gli operai e i proletari, che costituivano il popolo. La storia di Gesmundo è una storia di idee e immagini, il comunismo, la foto di Lenin e di “altri grandi uomini”, la redazione de L’Unità clandestina in casa sua, le lezioni fatte con tantissimi studenti in casa sua, le azioni progettate e messe in atto, arguzia, astuzia e forza ideologica erano alla base dell’azione del piccolo professore di Terlizzi.
Era un comunista coraggioso e ribadisco la sua matrice ideologica, perché la Resistenza spesso occorre ribadire, che fu la lotta della parte migliore di questo Paese contro la parte peggiore, non migliore o peggiore umanamente, ma politicamente, moralmente e socialmente. La Resistenza, come dimostra la storia di Gioacchino Gesmundo, non fu un’adunata insipida di idee, ma una scelta consapevole, un patto tra uomini liberi per restituire dignità ad un Paese intero.
Le storie dei nonni spesso vanno a noia, sia per un fervore adolescenziale che ti invade e sia perché quelle storie poi vorresti viverle tu in prima persona, ma con mio nonno non accadeva mai. Tanto meno per la storia di Gesmundo, che mi facevo ripetere fino alla noia, per paura che gli sfuggisse qualche particolare, qualche elemento fondamentale, quella storia oggi la so a memoria, ma ci sono voluti parecchi mesi dopo la morte di mio nonno perché riuscissi a raccontarla ad altri.
Da bambino pensare che i nazifascismi avessero potuto mettere in ginocchio Roma mi sembrava una cosa assurda, da adolescente era qualcosa che mi provocava rabbia, da giovane uomo mi crea la voglia di non far perdere quelle tracce, quelle storie nell’oblio dei giorni, perché certi valori, senza la retorica delle istituzioni, possono diventare uno strumento per vivere una vita diversa, improntata sull’uguaglianza e sui diritti. La storia di Gioacchino Gesmundo è per me un pezzo di cuore, di radici, di memoria, è una storia che ha invaso la mia vita, contaminandola di valori e di suggestioni.
Spesso mi emoziono per cose abbastanza futili ai più, ma sapere che in un appartamento di Porta Metronia si costruiva un’Italia migliore mi crea un sussulto al cuore, quando compro o vedo L’Unità penso a quei fogli ciclostilati nascosti in casa di quel minuto professore dagli occhi scuri.
Siamo fatti di amore, emozioni, rivoluzione e memoria. Il resto è contorno.
Nell’aprile del 2008, quando mio nonno stava per morire, un giorno ormai allettato gli portai i giornali e discutemmo ancora una volta su quelle elezioni alle porte, con un filo di voce argomentava le sue idee, di uomo semplice, di pensionato che aveva lavorato tutta una vita per mettere una toppa alle tante emergenze che la vita ti riserva e mentre se ne stava andando mi disse:”ti ricordi quanno t’ho portato alle Ardeatine, eri piccolo, forse pure troppo”, ed io risposi: “certo che me lo ricordo”, “ecco – continuò lui – io queste cose te le ho raccontate a te perché poi te le racconti a qualcuno che verrà dopo, ai figli tuoi, raccontagli pure di Gesmundo, che era un bravo comunista e un grande professore, che mi ha insegnato tanto”. Lo incalzai dicendo che sarebbe stato lui a raccontare quelle cose, che era più bravo di me sia a scrivere che a raccontare, lui sorrise un po’ leggendo L’Unità.
La sera ci vedemmo l’ultima partita insieme, un’infelice Roma-Manchester, dove sbagliammo anche un rigore. Quando morì il giorno seguente pensai a tante cose, ma Gesmundo era lì, come un’eredità da raccontare, come un simbolo da brandire contro i tempi bruttissimi che avremmo avuto. Quindi la proposta di questa pietra d’inciampo, simbolo altissimo di memoria, in realtà è divisa con lui, con Ermanno Coccia, barista, torrefattore, che visse la Resistenza da bambino e me la raccontò, incontrando Gioacchino Gesmundo e rendendo viva la sua memoria.
(Massimiliano Coccia)

La "pietra d'inciampo" per Gesmundo a Roma ( alunni delle terze classi della "Gesmundo" di Terlizzi)

La “pietra d’inciampo” per Gesmundo a Roma (vai alla scheda)
Ore 0,30 di lunedì 14 gennaio, Terlizzi. In Via Marzabotto un vocio di ragazzi rompe il silenzio della notte. Sono 49 alunni delle terze classi della “Gesmundo” in ansiosa attesa di partire con destinazione Roma. Dovranno essere presenti ad un evento irripetibile: la collocazione di uno STOLPERSTEINE sul marciapiedi di Via Licia 54 (ex 76), ultimo domicilio romano del concittadino prof. GIOACCHINO GESMUNDO. Gli alunni già conoscono molto del prof. Gesmundo: educatore e filosofo, oppositore politico della dittatura nazifascista e apostolo della libertà; sanno anche che, per la sua attività di combattente attivo della Resistenza Romana, fu atrocemente seviziato nell’ ”albergo” di Via Tasso, poi condannato a morte dal tribunale militare tedesco e ucciso infine alle Cave Ardeatine insieme ad altri 334 italiani, tra questi molti erano inconsapevoli della causa della propria morte. Forse gli alunni non sanno che lo scorso anno è stata collocata una “memoria d’inciampo” anche sul marciapiedi di Via Urbana 2, ultima dimora di don Pietro Pappagallo, per iniziativa di don Francesco Pesce, parroco della chiesa di Santa Maria ai Monti.
Sicuramente sanno poco che le “pietre d’inciampo” nascono da un’idea dello scultore berlinese GUNTER DEMNIG per testimoniare visivamente l’esistenza dei milioni di cittadini europei uccisi dai regimi totalitari, in particolare da quello nazista, e dai loro collaborazionisti, come il governo fascista italiano. Non pensava ad una lapide o ad un monumento, ma ad un piccolo “inciampo visivo”, ma forte per impatto emotivo e simbolico, da collocare in prossimità dell’abitazione da cui essi furono prelevati per essere condotti a morte. In circa 30 anni, Demnig ha già installato in varie città europee circa 30 mila Stolpersteine: sampietrini standard 10×10 in ottone lucente che riportano in rilievo i dati anagrafici del perseguitato, l’anno di nascita, le date dell’arresto e della morte, il luogo di morte. In Italia si è svolta la quarta edizione del progetto artistico/storico dell’artista tedesco, posto sotto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica, coordinato da Adachiara Zevi, promosso da diverse associazioni e fondazioni, sostenuto dalla Comunità Ebraica, dall’Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca e dal Comune di Roma. Quest’anno Demnig ha installato 36 “pietre che fanno inciampare” in aggiunta alle 200 degli anni scorsi.
Gli alunni, insieme ai dirigenti Pellegrini e Porfilio, a due docenti ed una mamma giungono a Roma, all’alba. Dopo la doverosa accurata visita al luogo dell’Eccidio Ardeatino, al Sacrario e al sovrastante Museo, fissati nella memoria e negli obiettivi, girano per Roma Capitale e per il Vaticano. Al tramonto si portano in Via Licia, 54. Qui incontrano una folla in attesa dell’arrivo dell’artista. Salutano Gioacchino Gesmundo, nipote del Martire giunto da Lecco che, con le sorelle, ha assunto l’iniziativa, da me segnalatagli, della “pietra” davanti alla casa dello zio paterno; riconoscono i concittadini Gero Grassi e Renato Brucoli. Arrivano alunni e docenti del Liceo romano “Cavour”, i coniugi ultranovantenni Luigi e Rosa Lea Cicatelli da Velletri, ex alunni del “Cavour”, Susi Fantino, Presidente del IX Municipio di Roma, Adachiara Zevi, curatrice del progetto, Aladino Lombardi del direttivo ANFIM, Guido Albertelli, figlio di Pilo, Martire ardeatino e collega del Nostro a Formia, Pina e Nilo Cardillo ex dirigente del Liceo di Formia, Giuseppe Mercurio, dirigente della Scuola elementare romana “G .Gesmundo”.
L’artista Demnig, dopo aver posto un’ altra “pietra” in Via Appia Nuova sempre nel IX Municipio, arriva in Via Licia preceduto dalle forze dell’ordine e dalla squadra di operai. Si sofferma sul marciapiedi antistante il civico 54; osservatolo attentamente, traccia con la matita un quadrato 10×10. Dopo che gli operai lo tagliano con il flessibile, lo scultore colloca della malta per fissare al pavimento “la memoria d’inciampo” per il Martire Ardeatino prof. GIOACCHINO GESMUNDO, oppositore politico. Ai prolungati e fragorosi applausi, seguono gli interventi delle autorità, del nipote Gesmundo, dei rappresentanti delle Associazioni e la lettura del messaggio del Sindaco di Terlizzi. Commovente è stato il breve intervento dei due anziani ex alunni. Al termine, molto seguiti con viva partecipazione sono stati il breve reading dello spettacolo teatrale “Quelli dell’Alberona” di Massimiliano Coccia del Museo Storico della Liberazione con interprete Antonio De Matteo e la lettura di pagine di “Cuore di donna” di Carla Capponi relative alla attività di Gesmundo nella Resistenza Romana. Si è fatta sera quando il gruppo dei terlizzesi sale sul pullman per il ritorno a casa. Tutti stanchi, ma emozionati ed arricchiti della lezione di vita del prof. Gesmundo e della storia recente, si ripetono le parole di Martin Luter King citate nell’intervento di Aladino Lombardi “Abbiamo imparato a nuotare come i pesci, a volare come gli uccelli, ma non abbiamo ancora imparato ad essere fratelli”. Prima di addormentarmi, ripensavo al pensiero di Guy de Maupassant del 1884 (Al Sole) “Il viaggio è una specie di porta aperta attraverso la quale si esce dalla realtà come per entrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno”.
Gennaio 2013
Pietro Porfilio

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